Volodyk - Paolini2-Eldest Страница 6
- Категория: Разная литература / Прочее
- Автор: Volodyk
- Год выпуска: неизвестен
- ISBN: нет данных
- Издательство: неизвестно
- Страниц: 90
- Добавлено: 2019-05-14 16:06:01
Volodyk - Paolini2-Eldest краткое содержание
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Mentre camminava, continuava a mettere ordine nei propri pensieri. Dopo la morte di Garrow, Roran aveva lasciato il suo lavoro al mulino di Dempton a Therinsford per tornare a Carvahall. Horst lo aveva accolto in casa propria e, nei mesi successivi, gli aveva procurato un lavoro nella fucina. Il dolore del lutto aveva ritardato le decisioni di Roran circa il suo futuro fino a due giorni prima, quando aveva stabilito una linea d'azione.
Voleva sposare Katrina, la figlia del macellaio. La ragione per cui all'inizio era andato a Therinsford era stata quella di guadagnare abbastanza da garantire un sereno inizio alla loro vita insieme. Ma adesso, senza più casa, senza più fattoria, e mezzi per sostenerla, Roran non poteva in tutta coscienza chiedere la mano di Katrina. Era il suo orgoglio a impedirglielo. E comunque non pensava che Sloan, il padre della ragazza, avrebbe mai accettato un pretendente dalle prospettive così misere. Anche nella più rosea delle ipotesi, Roran si era aspettato di dover faticare per convincere Sloan a concedergli Katrina: i due non erano mai stati in buoni rapporti. Ed era praticamente impossibile per Roran sposare Katrina senza il consenso del padre, se non volevano dividere la famiglia, provocare il villaggio sfidando le tradizioni e, con ogni probabilità, ingaggiare una faida sanguinosa con Sloan.
Tutto considerato, Roran riteneva che la sua unica opportunità era quella di rimettere in piedi la fattoria, avesse dovuto ricostruire la casa e il fienile lui stesso. Sarebbe stata un'impresa ardua, dovendo partire da zero, ma una volta consolidata la sua posizione, avrebbe potuto affrontare Sloan a testa alta. La prossima primavera potrò andargli a parlare, pensò Roran con un sorriso mesto.
Sapeva che Katrina avrebbe aspettato... almeno per qualche tempo.
Continuò di buon passo fino a sera, quando arrivò in vista del villaggio. Nella piccola cerchia di umili dimore, sventolavano i panni stesi ad asciugare da una finestra all'altra. Gli uomini tornavano a casa dai campi verdeggianti di grano. Sullo sfondo, le Cascate di Igualda, alte mezzo miglio, scintillavano al tramonto precipitando dalla Grande Dorsale nell'Anora. La visione confortò Roran con la sua normalità. Niente era più rassicurante di vedere che tutto era come doveva essere.
Lasciò la strada maestra e risalì il pendio in cima al quale si trovava la casa di Horst, affacciata sulla Grande Dorsale. La porta era già aperta. Roran entrò e seguì le voci che conversavano fino in cucina.
Al tavolo di legno grezzo, addossato a una parete della stanza, c'erano Horst, con le maniche arrotolate fino ai gomiti, e sua moglie Elain, incinta di cinque mesi e sorridente; di fronte erano seduti Albriech e Baldor, i loro figli. Quando Roran entrò, Albriech stava dicendo: «... e non mi ero mosso dalla fucina! Thane giura di avermi visto, ma io ero dall'altra parte del villaggio.»
«Che succede?» domandò Roran, sfilandosi lo zaino dalle spalle.
Elain scambiò un'occhiata con Horst. «Ti porto qualcosa da mangiare» disse, e gli andò a prendere del pane e un piatto di manzo freddo. Poi lo guardò negli occhi, come in cerca di una particolare espressione. «Com'è andata?» Roran si strinse nelle spalle. «Tutto il legno è bruciato o marcito... non si può riutilizzare niente. Ma almeno il pozzo è rimasto intatto, qualcosa di cui dovrei rallegrarmi, suppongo. Dovrò tagliare legna per la casa il più presto possibile se voglio avere un tetto sulla testa per la stagione della semina. Ma ditemi. Cosa è successo?»
«Ha!» fece Horst. «Una disputa bell'e buona, ecco cosa. Thane dice che gli manca una falce e che pensa l'abbia presa Albriech.»
«Probabilmente l'ha lasciata nel campo e si è dimenticato dove» sbuffò Albriech.
«Già» convenne Horst sorridendo.
Roran addentò il pane. «Ma che senso ha accusarti? Se ti serviva una falce, ti bastava forgiarne una.» «Lo so» disse Albriech, appoggiandosi allo schienale, «ma invece di cercarla, ha cominciato a borbottare di aver visto qualcuno che si allontanava dal suo campo, qualcuno che mi somigliava... e siccome nessuno mi assomiglia, ha concluso che devo essere stato io.»
Era vero che nessuno gli assomigliava. Albriech aveva ereditato la corporatura massiccia del padre e i capelli biondo miele della madre, il che lo rendeva una rarità a Carvahall, dove il castano era il colore predominante. In contrasto, Baldor era più magro e aveva i capelli scuri.
«Sono sicuro che salterà fuori» disse Baldor con voce sommessa. «Nel frattempo, cerca di non prendertela troppo.» «È facile dirlo per te.»
Mentre Roran finiva il pane e attaccava il manzo, chiese a Horst: «Hai bisogno di me domani?»
«Non credo. Devo lavorare al carro di Quimby. Quel maledetto coso non ne vuol sapere di stare dritto.» Roran annuì compiaciuto. «Bene. Allora mi prendo la giornata per andare a caccia. Ho visto un piccolo branco di cervi giù nella valle, che mi sembrano abbastanza in carne. Almeno non gli si contavano le costole.»
Baldor s'illuminò di colpo. «Ti serve compagnia?»
«Certo. Partiamo all'alba.»
Terminata la cena, Roran si lavò il viso e le mani, e uscì per schiarirsi le idee. Sulla soglia si stiracchiò e poi si avviò verso il centro del paese.
A metà strada, un brusìo di voci eccitate davanti ai Sette Covoni attirò la sua attenzione. Si volse, incuriosito, e si diresse alla taverna, dove lo aspettava un insolito spettacolo. Seduto sotto il portico c'era un uomo di mezz'età che indossava un soprabito di pelli cucite. Accanto a lui c'era uno zaino festonato dalle ganasce d'acciaio delle tagliole da cacciatore. C'erano decine di persone del villaggio che ascoltavano mentre l'uomo gesticolava eccitato e diceva: «Così quando sono arrivato a Therinsford, sono andato da questo Neil, un brav'uomo. Lo aiuto nei campi in primavera e d'estate.»
Roran annuì. I cacciatori di pellicce trascorrevano l'inverno fra le montagne, tornando in primavera per vendere le pelli ai conciatori come Gedric e lavorare come braccianti per i contadini. Poiché Carvahall era il villaggio più a nord della Grande Dorsale, molti cacciatori vi passavano: una delle ragioni per cui Carvahall aveva una sua taverna, un fabbro e un conciatore.
«Dopo qualche boccale di birra - per lubrificarmi la lingua, sapete, visto che non spiccicavo parola da sei mesi, se non per mandare al diavolo il mondo e il resto dell'universo quando perdevo una preda - sono andato da Neil, con la barba ancora bagnata di schiuma, e abbiamo cominciato a scambiare quattro chiacchiere. Gli faccio qualche domanda innocente, tanto per dire, tipo che si dice dell'Impero e del re - che possa marcire - e se è nato o morto o è stato bandito qualcuno che dovrei sapere. E Neil che fa? Si sporge verso di me tutto serio e mi racconta che da Dras-Leona e da Gil'ead sono giunte voci di strani accadimenti in tutta Alagaésia. Gli Urgali sono praticamente scomparsi dai territori civilizzati, evviva, ma nessuno sa dire perché o che fine hanno fatto. I commerci dell'Impero languiscono in seguito a una serie di razzìe e attacchi, ma da quanto ho sentito non è opera di semplici briganti, perché gli attacchi sono troppo diffusi e organizzati. Non rubano niente, si limitano a bruciare e a distruggere. Ma non è tutto, oh no, non finisce qui, per i baffi di quella santa donna di vostra nonna!»
Il cacciatore scosse la testa e bevve un sorso dall'otre di vino che portava a tracolla prima di proseguire: «Si parla di uno Spettro che vaga per i territori del nord. È stato avvistato ai margini della Du Weldenvarden e nei pressi di Gil'ead. Dicono che abbia i denti aguzzi e gli occhi rossi come il vino, e i capelli cremisi come il sangue che beve. E quel che è peggio, pare che qualcosa abbia fatto infuriare quel pazzo del nostro buon monarca. Cinque giorni fa, un giocoliere proveniente dal sud ha fatto tappa a Therinsford durante il suo viaggio solitario verso Ceunon, e ha detto di aver visto che le truppe venivano radunate e spostate, anche se non sapeva perché.» Si strinse nelle spalle. «Come mi ha insegnato il mio vecchio fin da quando ero un poppante, non c'è fumo senza arrosto. Forse sono i Varden. Nel corso degli anni hanno dato non poche gatte da pelare al nostro vecchio Ossadiferro. O forse Galbatorix ha finalmente deciso che non intende più tollerare il Surda. Almeno sa dove si trova, al contrario dei ribelli. Schiaccerà il Surda come un orso schiaccia una formica, date retta a me.» Roran si accigliò, mentre intorno al dell'avvistamento di uno Spettro - suonava troppo come una panzana da boscaiolo ubriaco - ma il resto gli sembrava abbastanza brutto da essere vero. Il Surda... Ben poche informazioni su quel paese distante raggiungevano Carvahall, ma Roran se non altro sapeva che, pur essendoci una pace apparente fra il Surda e l'Impero, i surdani vivevano nella paura costante che il loro più potente vicino del nord li invadesse. Per questa ragione si diceva che Orrin, il loro re, sostenesse i Varden.
Se il cacciatore aveva ragione su Galbatorix, poteva significare soltanto una cosa: stava per scoppiare una guerra devastante, con tutte le terribili conseguenze del caso, come l'aumento delle tasse e la leva forzata. Quanto preferirei vivere in un'epoca priva di eventi importanti. Le guerre rendono le vite come la nostra, già difficili, praticamente impossibili.
«Per di più, si parla di...» E qui il cacciatore fece una pausa e, con un'espressione sapiente, si batte il naso con la punta dell'indice. «Di un nuovo Cavaliere in Alagaésia.» E scoppiò in una fragorosa risata, tenendosi la pancia mentre si dondolava sul gradino del portico.
Anche Roran si mise a ridere. Ad anni alterni circolavano storie che parlavano dei Cavalieri. Le prime due o tre volte si era lasciato convincere, ma poi aveva imparato a non fidarsi di questi racconti, che non approdavano mai a nulla di concreto. Quelle storie non erano altro che l'espressione di un desiderio da parte di coloro che anelavano a un futuro migliore.
Stava per girare i tacchi quando notò Katrina in piedi all'angolo della taverna, vestita con una lunga tunica rossiccia ornata da un nastro verde. La ragazza ricambiò il suo sguardo con la stessa intensità. Roran si avvicinò, le sfiorò una spalla, e insieme si allontanarono dalla folla.
Camminarono fino ai margini di Carvahall, dove si fermarono a contemplare le stelle. Il cielo era terso quella sera, scintillante di una miriade di fuochi celesti, solcato da nord a sud dalla gloriosa fascia lattiginosa simile a polvere di diamanti.
Senza guardarlo, Katrina gli posò la testa su una spalla e gli chiese: «Com'è andata la giornata?» «Sono tornato a casa.» La sentì irrigidirsi contro il suo corpo.
«Come ti sei sentito?»
«Malissimo.» La sua voce s'incrinò e rimase in silenzio, abbracciandola stretta. La fragranza dei suoi capelli ramati sulla guancia era come un elisir distillato da vino, spezie ed essenze profumate. Gli penetrò nelle ossa, riempiendolo di un calore confortante. «La casa, il fienile, tutto distrutto... Non li avrei mai trovati, se non avessi saputo dove cercare.» Finalmente lei si volse a guardarlo, le stelle che si riflettevano nei suoi occhi, il volto adombrato dal dolore. «Oh, Roran.» Lo baciò, sfiorandogli le labbra per un breve istante. «Hai sopportato così tante pene, eppure la tua forza non ti ha mai abbandonato. Tornerai alla fattoria adesso?»
cacciatore esplodeva una babele di domande. Era propenso a dubitare «Sì. È tutto quello che ho.» «E che ne sarà di me?»
Lui esitò. Dal momento in cui aveva cominciato a corteggiarla, fra di loro si era stabilito il tacito accordo che si sarebbero sposati. Non c'era stato bisogno di dar voce alle proprie intenzioni; erano chiare come il sole, e perciò la domanda di lei lo turbò. Non gli sembrava opportuno introdurre l'argomento in maniera così schietta, quando non era ancora pronto a fare la proposta. La prima mossa spettava a lui - con una dichiarazione prima a Sloan e poi a Katrina - e non a lei. Ma adesso che la ragazza aveva espresso la sua apprensione, Roran si vide costretto a discuterne. «Katrina... non posso affrontare tuo padre come avevo progettato. Mi riderebbe in faccia, e non avrebbe tutti i torti. Dobbiamo pazientare. Soltanto quando avrò una casa dove poter vivere insieme e la terra mi avrà fruttato il primo raccolto, allora mi ascolterà.» Lei rivolse ancora lo sguardo al cielo, e mormorò qualcosa a voce talmente bassa che lui non riuscì a capire. «Cosa?»
«Ho detto, hai paura di lui?»
«Certo che no! Io...»
«Allora devi ottenere il suo consenso, domani, e annunciare il fidanzamento. Devi fargli capire che anche se adesso non hai niente, riuscirai a darmi una casa e sarai un genero di cui andare orgoglioso. Non c'è ragione di sprecare i nostri anni vivendo lontani, quando proviamo questi sentimenti.»
«Non posso» insistette lui, con una nota di disperazione, perché lei capisse. «Non posso provvedere a te, non...» «Ma non capisci?» esclamò lei angosciata, allontanandosi di qualche passo. «Io ti amo, Roran, e voglio sposarti, ma mio padre ha altri progetti per me. Ci sono altri uomini, di gran lunga preferibili dal suo punto di vista, e più a lungo tu aspetti, più lui mi sprona ad accettare un marito di suo gradimento. Teme che diventi una vecchia zitella, e anch'io ho paura. Non ho molto tempo, né scelta, qui a Carvahall... Se dovrò sposare un altro, lo farò.» Le lacrime scintillarono nei suoi occhi mentre lo scrutava ansiosa, in attesa di una risposta; poi raccolse l'orlo della veste e scappò verso casa. Roran rimase immobile, impietrito dal terrore. La sua assenza era dolorosa quando la perdita della fattoria: il mondo si era trasformato all'improvviso in una landa gelida e inospitale. Era come se gli avessero strappato un brano di carne. Trascorse lunghe ore a vagare smarrito prima di tornare a casa di Horst e infilarsi nel letto.
I CACCIATORI BRACCATI
Il terriccio scricchiolava sotto gli stivali di Roran mentre scendeva lungo la valle, fredda e grigia nelle prime ore del mattino. Baldor lo seguiva; entrambi avevano gli archi incordati. Nessuno dei due parlava mentre studiavano l'ambiente in cerca di tracce di cervi.
«Laggiù» sussurrò Baldor, indicando una serie di impronte che si dirigevano verso un cespuglio di rovi sulla sponda dell'Anora.
Roran annuì e cominciò a seguire la pista. Dato che gli sembrava vecchia di un giorno, si arrischiò a parlare. «Posso chiederti un consiglio, Baldor? Mi sembri uno che capisce le persone.»
«Naturale. Di che si tratta?»
Per diverso tempo, l'unico suono fu il rumore dei loro passi. «Sloan vuole maritare sua figlia Katrina, ma non con me. Ogni giorno che passa, aumentano le probabilità che combini un matrimonio di suo gradimento.» «Katrina cosa ne pensa?»
Roran scrollò le spalle. «Lui è suo padre. Non può continuare a sfidare la sua volontà quando la persona che lei desidera non si è ancora fatta avanti per chiederla in sposa.»
«Vale a dire tu.»
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